I rivestimenti superficiali assumono un ruolo fondamentale nella nostra vita. Talvolta, però, si mostrano ai nostri occhi per ciò che non sono realmente.

Forme, colori e materiali ci circondano e comunicano con noi, coinvolgendoci emotivamente. Più che di rivestimenti, si dovrebbe parlare di pelle. Come la nostra pelle è viva, parla di noi e trasmette le nostre emozioni, anche il rivestimento è vivo ed interagisce con l’ambiente circostante.

Molto spesso, le superfici materiche nascondono la loro vera identità attraverso rivestimenti particolari, alludendo a materiali differenti. Stiamo parlando dei materiali di sostituzione. Per quale motivo nascondono la loro identità? E soprattutto, quando sono nati?

I materiali di sostituzione

I materiali di sostituzione nascono nella metà dell’Ottocento quando, con la produzione industriale pienamente avviata, il mercato era davvero saturo di prodotti. Per attirare l’attenzione del consumatore, quindi, le aziende ricorrono a nuovi materiali, presentandoli “al posto di” altri, più costosi o più difficili da reperire, dei quali imitavano le sembianze.

L’estetica dei rivestimenti

Il primo motivo per cui tali materiali nascondevano la loro vera identità è legato ad un discorso di “estetica”.

Verso la fine dell’Ottocento, infatti, i primissimi prodotti industriali avevano una scarsa qualità. Per renderli più affascinanti, si adottavano “ingannevoli artifici”: sculture in gesso che assumevano l’apparenza del bronzo grazie alla galvanoplastica (procedimento elettrolitico che permette di rivestire qualsiasi supporto con un deposito metallico), oppure servizi da tè che figuravano cesellati a mano e fatti in argento. Si trattava di richieste provenienti dai ceti meno abbienti che tendevano ad imitare il gusto estroverso della borghesia, adottando però soluzioni più accessibili.

I materiali di sostituzione cambiavano aspetto per un ulteriore motivo, la difficoltà nel reperire le materie prime. L’Italia, durante gli anni della guerra, ha vissuto una situazione così complessa, dando vita ai materiali autarchici.

I materiali autarchici

La politica autarchica, proclamata da Mussolini nel 1935, ebbe ripercussioni dall’architettura all’arredamento fino al settore delle fibre tessili. L’obiettivo era raggiungere la massima autonomia economica e politica, perseguendo la lotta agli sprechi.

Nella filosofia fascista, i materiali diventavano simbolo dell’autorità e della potenza del regime. In molti scritti dell’epoca, infatti, erano definiti eterni, incorruttibili e razionali. Dovevano rimanere immuni al passare del tempo, così come doveva durare per sempre il regime stesso.

I materiali autarchici, anche se nati in un contesto fatto di divieti e limitazioni, dimostrarono la grande creatività dell’Italia. Il nostro Paese, infatti, riuscì a valorizzare le risorse del territorio e recuperare gli scarti di produzione, sfruttando al minimo le materie prime e mettendo al primo posto la questione ambientale.

La fibra dal latte

La maggior parte dei materiali autarchici, dopo il periodo autarchico, non riscosse molto successo. Così non è stato, però, per la fibra proteica rigenerata, nota come Lanital.

La Lanital, fibra tratta dalla caseina, fu commercializzata nel 1935 dall’azienda SNIA Viscosa. La struttura della fibra era molto simile alla lana, al punto che poteva esserne un’ottima sostituta. Tuttavia, la poca resistenza all’usura, ha portato la SNIA a migliorare il prodotto, rilanciandolo con il nome di Merinova. Nel frattempo, però, lo sviluppo delle fibre chimiche fece uscire dal mercato le fibre caseiniche. Negli anni 2000, questo materiale è stato nuovamente riscoperto per le sue qualità anallergiche, trovando un ampio utilizzo per prodotti per la primissima infanzia o per chi avesse forme di intolleranza alla lana e alle fibre sintetiche.

Interessante notare come un prodotto nato in un momento storico così complesso sia arrivato fino ai giorni nostri, invadendo i nostri armadi già colmi di vestiti, ma non solo!

Un prodotto molto simile alla Lanital, fa parte anche del nostro archivio di MATto. Stiamo parlando del filato biologico Milkofil®, ricavato dalla proteina del latte e che, grazie alla naturale emissione di ioni negativi e agli amminoacidi contenuti al suo interno, risulta antibatterica, sterile e in grado di stimolare la circolazione sanguigna.

Se siete curiosi di come oggi molti centri di ricerca, aziende e start-up si stiano muovendo nella ricerca di nuovi processi produttivi, utilizzando e imitando la natura, non perdetevi allora l’articolo Leather-free: sperimentare con nuovi materiali vegetali!

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